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Nullità del matrimonio per orientamento omosessuale del coniuge

Molto recentemente la sentenza Trib. di Foggia, Sez. I, 23 luglio 2015 entra nella questione se si possa dichiarare nullo un matrimonio, ai sensi dell’art. 122 cod. civ., in forza dell’orientamento omosessuale di uno dei coniugi. E conclude che ciò non è possibile – si tenga però conto che la sentenza dà atto che in una delle udienze la moglie convenuta ha dichiarato di non essere omosessuale -.

Premettiamo che secondo il codice civile, dopo la riforma del diritto di famiglia, il matrimonio può essere impugnato, tra l’altro, per l’errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge (art. 122, II comma, cod. civ.). Per “errore essenziale” si intende quello che intacchi, appunto, l’essenza su cui cade il consenso, in particolare al punto da determinarlo nel senso che il coniuge non avrebbe prestato il consenso se avesse conosciuto le qualità personali in questione e purchè tra l’altro cada, in particolare – art. 122, comma III, n. 1 cod. civ. – sull’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale. Non solo si deve trattare di un disturbo codificato nella letteratura e nei documenti sanitari – internazionali – ma deve altresì essere tale da impedire la regolare vita coniugale, anche sotto il profilo sessuale. Il II comma della norma, invece, più in generale, dichiara annullabile il matrimonio per errore sull’identità della persona del coniuge.

Ora, da molti anni, sotto il profilo riguardante le qualità personali, l’omosessualità è stata rubricata diversamente nei paradigmi nosografici, in particolare nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, sicchè oggi non è codificata come malattia – come in precedenza – e il Tribunale ne prende atto: non può, quindi, rientrare nell’ambito della previsione normativa che considera rilevanti ai fini della nullità le qualità personali che hanno condizionato il consenso, che riguardano, tra l’altro, l’orientamento sessuale e che rendono “impraticabile” la vita coniugale così come intesa, ovviamente, dalla legge italiana.

Il II comma dell’art. 122 cod. civ., però, come si era anticipato prima, dichiara annullabile il matrimonio anche se l’errore cade sull’identità personale del coniuge. E’ quindi evidente che, oltre ad escludere che l’omosessualità rientri nelle disfunzioni di cui al III comma, che riguarderebbero tecnicamente le qualità personali, il Tribunale deve escludere anche che l’omosessualità sia una qualità che inerisca o determini la cosiddetta identità personale, antropologicamente intesa. Da una parte, cioè, il discorso verte sulle qualità essenziali di una persona, dall’altra sulla stessa identità globalmente intesa. In questo senso, viene richiamata la giurisprudenza precedente, in particolare la sentenza Cassazione n. 7020/1983, secondo la quale l’omosessualità non è questione di identità, ma di qualità essenziale.

Ovviamente la sentenza prende poi in considerazione la fattiva possibilità di convivere dei due coniugi, però analizzandola più sotto il profilo della separazione personale, per dare comunque una soluzione pratica al problema.

Non si può negare che questa sentenza, che si pone a metà strada tra orientamenti opposti, involga complicate tematiche filosofiche. Il cambiamento di paradigma della famiglia, che si delinea all’orizzonte, il dibattito sui cosiddetti diritti civili e la nozione di identità personale definita dall’antropologia.

Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 29 agosto 2015

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