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Le donazioni tra coniugi dopo la separazione

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Una delle questioni più spinose che si presentano nei rapporti tra marito e moglie è quella delle donazioni fatte durante il matrimonio. In particolare, le donazioni di denaro finalizzate a fare in modo che uno dei due coniugi diventi comproprietario della casa coniugale. Non c’è il minimo dubbio che queste elargizioni di denaro si configurino come vere e proprie donazioni. Non avendo però i requisiti della donazione dal punto di vista formale, si tratterà inevitabilmente di donazioni indirette.

A questo proposito ricordiamo che l’articolo 809 del codice civile recante norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità afferma che le liberalità anche se risultano da atti diversi da quelli previsti dall’articolo 769 del codice civile sono soggetti alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari. Si tratta delle famose liberalità indirette che con la donazione formale hanno in comune soltanto l’aspetto legato alla causa, quindi allo scopo socio-economico che pongono in essere e che realizzano. Ciò che cambia rispetto la donazione notarile fatta davanti ai testimoni é semplicemente il mezzo utilizzato per ottenere lo scopo e questo rientra nel generale discorso dei negozi indiretti con cui, usando uno schema che sarebbe finalizzato ad altro scopo, si ottiene uno scopo diverso.

Nell’ambito del matrimonio, è possibile, anzi frequente, che uno dei due coniugi versi somme di denaro o per fare in modo che l’altro diventi comproprietario di una quota dell’immobile, ad esempio pagando il mutuo, essendo l’immobile cointestato invece che essere intestato solo al coniuge che mette i soldi.

In questi casi la giurisprudenza ritiene che si tratti di vere e proprie liberalità, cioè donazioni indirette non richiedibili fatte da un coniuge all’altro e che difficilmente potranno essere chieste in restituzione.

Il discorso cambia completamente quando parliamo del periodo successivo alla separazione, cioè quando la separazione è già stata pronunciata e permane la comunione sull’immobile coniugale. In questo caso la situazione della proprietà in comune non giustifica più dal punto di vista matrimoniale elargizioni di denaro finalizzate alle finiture o alle migliorie dell’immobile perché essendo intervenuta la separazione si presume ormai che queste somme di denaro non vengano donate da un coniuge all’altro ma semplicemente costituiscano delle elargizioni che sono sottoposte alle regole comuni e che non scontano il particolare regime della famiglia.

Per questo motivo è necessario distinguere il momento precedente alla separazione rispetto a quello successivo.

Nella recente sentenza Corte di cassazione civile, sez. III, 4 ottobre 2018, n. 24160 è stato precisato che


L’attività con la quale il marito fornisce il denaro affinché la moglie divenga con lui comproprietaria di un immobile è riconducibile nell’ambito della donazione indiretta, così come sono ad essa riconducibili, finché dura il matrimonio, i conferimenti patrimoniali eseguiti spontaneamente dal donante, volti a finanziare lavori nell’immobile, giacché tali conferimenti hanno la stessa causa della donazione indiretta. Tuttavia, dopo la separazione personale dei coniugi, analoga finalità non può automaticamente attribuirsi ai pagamenti fatti dal marito o alle spese sostenute per l’immobile in comproprietà, poiché in tale ultimo caso non può ritenersi più sussistente la finalità di liberalità e tali spese dovranno considerarsi sostenute da uno dei comproprietari in regime di comunione, con l’applicazione delle regole ordinarie ad essa relative. Conseguentemente, il coniuge comproprietario potrà ripetere il 50% delle spese che ha sostenuto per la conservazione ed il miglioramento della cosa comune, purché abbia avvisato preliminarmente l’altro comproprietario e purché questi, a fronte di un intervento necessario, sia rimasto inerte”.

Naturalmente tutto questo discorso deve tenere conto inevitabilmente del regime delle prove perché un coniuge potrebbe teoricamente invocare la restituzione o il rimborso di determinate spese che ha affrontato a favore dell’immobile comune o addirittura intestato all’altro coniuge, ma poi se non è in grado di dimostrare pagamenti tracciati e tracciabili, in quanto ha eseguito tali pagamenti in nero, non potrà in nessun modo far valere le sue pretese.

L’avvocato della separazione è l’avvocato che si occupa principalmente delle questioni famigliari e della crisi coniugale.

Si tratta di un avvocato che va contattato nell’ipotesi in cui si abbiano dei dubbi sui regimi patrimoniali della famiglia, o sul regime di un singolo bene, o sulle scelte da affrontare prima di rivolgersi al tribunale per ottenere la separazione dei coniugi perché è certamente consigliato dirimere le questioni prima di rivolgersi al tribunale sezione della famiglia, che proprio per sua natura non sarebbe competente ad affrontare anche questioni patrimoniali secondarie che vengono trattate in separata sede.

Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 21 dicembre 2018

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