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Impugnare il licenziamento, chi può farlo: risponde l’avvocato del lavoro a Torino

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Chi può impugnare il licenziamento irrogato dal datore di lavoro? Il lavoratore, il sindacato, l’avvocato e altri soggetti muniti di procura.

Oggi ci occupiamo del potere di impugnativa del licenziamento. Esso è stabilito dall’art. 6 Legge del 15/07/1966 num. 604, il quale dispone:

Il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro sessanta giorni dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta, ovvero dalla comunicazione, anch’essa in forma scritta, dei motivi, ove non contestuale, con qualsiasi atto scritto, anche extragiudiziale, idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento stesso

La disposizione è piuttosto chiara. A parte il termine per l’impugnazione, di 60 giorni, la facoltà di impugnare è concessa dall’ordinamento proprio per rendere nota l’intenzione del lavoratore. Per questo motivo è evidente che l’impugnazione deve provenire direttamente dal lavoratore, oppure da altro soggetto che abbia il potere di manifestare la volontà del lavoratore. Anche l’atto, dice la norma, deve essere idoneo a manifestare l’intenzione del lavoratore in merito all’impugnativa.

A chiarimento di queste importanti annotazioni, il cui rispetto è fondamentale per ottenere un atto valido ed efficace, è di recente intervenuta la Cassazione, Corte di cassazione civile del 24/10/2017 sez. VI num. 25118, la quale riassume bene chi può impugnare il licenziamento, attribuendo anche all’avvocato del lavoro tale facoltà. Il punto, però, riguarda l’eventuale assenza del potere nel momento in cui l’impugnazione avviene, il che rende necessario l’atto di ratifica:

In tema di licenziamento individuale, l’impugnativa ex art. 6 della l. n. 604 del 1966 costituisce un atto negoziale dispositivo e formale che può essere posto in essere unicamente dal lavoratore medesimo (oltre che dall’associazione sindacale, cui quest’ultimo aderisca, in forza del rapporto di rappresentanza ‘ex lege’), da un rappresentante del primo munito di specifica procura scritta o da un terzo, ancorché avvocato o procuratore legale sprovvisto di procura, il cui operato venga successivamente ratificato dal lavoratore, sempre che la ratifica rivesta la forma scritta e sia portata a conoscenza del datore di lavoro prima della scadenza del termine di sessanta giorni per impugnare, previsto a pena di decadenza.

Per atto negoziale si intende quello i cui effetti dipendono proprio dalla volontà di chi lo compie, a cui l’ordinamento attribuisce valore e conseguenze. L’atto negoziale, fin dalla dottrina tedesca che lo ha elaborato, è l’atto che produce effetti in virtù della volontà di chi lo compie e non semplicemente per forza della legge che vi ricollega effetti. L’atto negoziale, per le sue caratteristiche, richiede una corretta formazione della volontà, a tal punto che eventuali vizi del consenso di riverberano sull’atto, a differenza di ciò che avviene negli atti giuridici in senso stretto. Ora, il lavoratore, ma anche il rappresentante sindacale hanno la facoltà di impugnare.

La sentenza, tuttavia, chiarisce che rivolgersi ad un avvocato del lavoro è comunque una garanzia. Infatti, l’avvocato potrà impugnare anche senza delega, a condizione che l’atto venga ratificato nelle forme corrette dal lavoratore, il tutto entro il termine massimo di 60 gg. per impugnare. La ratifica che interviene successivamente non produce effetti e l’impugnazione non è valida ed efficace.

Molti lavoratori licenziati si rivolgono all’avvocato del lavoro a Torino, chiedendo come devono comportarsi quando ricevono un licenziamento. Proprio per questo l’avvocato del lavoro, che conosce le conseguenze del licenziamento e le norme sull’impugnazione, può assistere il lavoratore in modo indipendente, senza vincoli di natura associazionistica.

La sentenza chiarisce che occorreva che:

il sottoscrittore fosse munito di valida procura o tempestiva ratifica del suo operato

Ricordiamo, quindi, la attuale validità della sentenza Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 2179 del 1987 che ancora oggi stabilisce la regola della forma scritta ad substantiam e naturalmente i principi della delega e ratifica.

Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 9 febbraio 2018

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