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Canone a scaletta: tassazione e imposte sui redditi negli affitti commerciali.

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Ci siamo tante volte occupati di tasse, imposte relative allo sfratto. Ora vogliamo analizzare una recentissima sentenza sul canone a scaletta e le imposte sui redditi. Per canone a scaletta si intende una pattuizione tra locatore e conduttore che consente di agevolare, di solito, il conduttore per i primi anni di attività. Le parti solitamente pattuiscono un canone a scaletta quando riservano uno sconto sul canone per i primi anni, in vista o dell’implementazione dell’attività commerciale del conduttore o di lavori di ristrutturazione, in presenza dei quali ha senso prevedere un canone a scaletta.

Il canone a scaletta va valutato sia sotto il profilo civilistico sia sotto il profilo fiscale.

Il canone a scaletta sotto il profilo civilistico implica le regole per determinare la validità di un contratto cui si affianca un accordo di canone a scaletta, parallelo al contratto. Le regole riguardano il quando, come e perchè si possa parlare di un valido canone a scaletta, su quali elementi indiziari fare riferimento per determinare il canone a scaletta, in quanto nelle sentenze dei tribunali i giudici sono chiamati sempre ad interpretare se si tratti realmente di un canone a scaletta o no, oppure se si tratti di un patto illecito che serve ad aggirare la legge sulle locazioni.

Sotto il profilo fiscale il canone a scaletta riguarda soprattutto i redditi da capitali.

Questo articolo si occupa di questo secondo aspetto: il canone a scaletta sotto il profilo fiscale.

Ricordiamo subito la regola basilare. Ai sensi dell’art. 26 TUIR, comma 1, i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà o altri diritti reali; non è consentito al proprietario di un edificio decurtare i relativi canoni di locazione della parte trattenuta dal conduttore a titolo di pagamento dei lavori di ristrutturazione eseguiti sull’immobile, dato che tali lavori vanno a beneficio del proprietario medesimo, risolvendosi quindi in una forma diversa di corresponsione del canone (Cass. n. 15808/2006)

In sostanza viene stabilito che basta essere proprietari e avere un contratto di locazione commerciale per essere tassati e non basta non percepire il canone: per evitare di pagare le tasse è necessario un provvedimento di sfratto.

La vicenda era accaduta in Sicilia, dove i giudici delle commissioni tributarie avevano dichiarato illegittimo l’accertamento dell’agenzia delle entrate in relazione ad un affitto mai percepito, ma non perchè il conduttore non pagava (morosità), bensì per un patto tra le parti secondo cui si trattava di un canone a scaletta ideato per venire incontro al conduttore per fare i lavori nell’immobile all’inizio del rapporto.

In sostanza, mentre i giudici tributari avevano ritenuto ingiusto che fosse tassato il locatore per redditi non percepiti, l’agenzia delle entrate insisteva con la norma citata, affermando che in linea di principio (principio che non vale per gli affitti abitativi), il reddito da capitale è tassato a prescindere dalla percezione del canone o meno e poi in questo caso la mancata percezione era dovuta ad un accordo tra le parti, nell’ambito del quale il locatore invece di ricevere canoni in denaro, per i primi tempi percepiva prestazioni in natura formate dai lavori di ristrutturazione, che alla fine dell’affitto sarebbero rimasti a suo vantaggio (anche economico, ovviamente).

La Cass. civ., Sez. VI – 5, Ord., (data ud. 22/03/2022) 14/04/2022, n. 12254 pertanto ribalta il verdetto adeguandosi a questo principio e affermando espressamente:

  • il motivo è fondato;
  • va premesso che, a norma dell’art. 26 TUIR, comma 1, i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà o altri diritti reali; questa Corte, in materia di IVA, ha ritenuto che non è consentito al proprietario di un edificio decurtare i relativi canoni di locazione della parte trattenuta dal conduttore a titolo di pagamento dei lavori di ristrutturazione eseguiti sull’immobile, dato che tali lavori vanno a beneficio del proprietario medesimo, risolvendosi quindi in una forma diversa di corresponsione del canone (Cass. n. 15808/2006);
  • con riferimento alle imposte sui redditi, la giurisprudenza è ferma nel ritenere che il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo – per i quali opera, invece, la deroga introdotta dalla L. n. 431 del 1988, art. 8 – è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione (Cass. n. 13232 del 2019, n. 19240 del 28/09/2016, in relazione ai canoni non percepiti per morosità, costituenti reddito tassabile, fino a che non sia intervenuta la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto);
  • va, pertanto, confermato che il criterio di imputazione del reddito di locazione degli immobili ad uso diverso è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione (Cass. n. 28743 del 2021);
  • a tali principi non si è attenuto il giudice di appello che ha ritenuto illegittimo l’avviso di accertamento non ravvisando in capo al contribuente- locatore di un contratto di locazione immobiliare ad uso commerciale (per attività di ristorazione, v. pag. 2 del controricorso) l’obbligo di esporre in dichiarazione, per l’anno 2008, il reddito derivante dai canoni di locazione, in quanto non percepiti (“ove il canone di locazione non viene corrisposto anche solo per volontà contrattuale, nel periodo in cui non viene percepito, non potrà parimenti concorrere alla formazione del reddito e sostituirsi al reddito fondiario suo proprio”), atteso che era stato pacificamente pattuito il differimento del pagamento degli stessi al secondo anno di locazione in considerazione dell’impegno da parte del conduttore ad eseguire, nel corso del primo anno, lavori di ristrutturazione dell’immobile;
  • in conclusione, il ricorso va accolto; con cassazione della sentenza impugnata e – non necessitando ulteriori accertamenti di fatto decidendo nel merito, con rigetto del ricorso originario del contribuente;
  • sussistono giusti motivi per compensare le spese dei gradi di merito mentre quelle del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

In sostanza, si ribadisce, con la massima, che:

Con riferimento alle imposte sui redditi, il reddito degli immobili locati per fini diversi da quello abitativo è individuato in relazione al reddito locativo fin quando risulta in vita un contratto di locazione. Pertanto in relazione ai canoni non percepiti per morosità, essi costituiscono reddito tassabile, fino a che non intervenga la risoluzione del contratto o un provvedimento di convalida dello sfratto. In tali casi il criterio di imputazione del reddito di locazione degli immobili ad uso diverso è costituito dalla titolarità del diritto reale, a prescindere dalla sua effettiva percezione.

Ma che cosa significa tutto ciò? Che non può bastare un canone a scaletta per impedire allo Stato di applicare le imposte sui redditi da capitale, in quanto esse si applicano per il fatto stesso che esiste la locazione, a prescindere dal fatto che il locatore commerciale percepisca o meno il canone per sua scelta.

E’ ovvio che in presenza di una risoluzione del contratto (non quindi di un patto che si limiti semplicemente a prevedere un canone a scaletta per i primi anni), o di uno sfratto, le cose cambieranno.

E’ sempre bene, quindi, nella materia dei canoni a scaletta, riferirsi all’avvocato immobiliarista prima di concepire e scrivere un contratto con patto di canone a scaletta, evitando così brutte sorprese da parte del Fisco.

Articolo su canone a scaletta redatto ad Alpignano da Studio Duchemino – STAFF IMMOBILI – il 21 aprile 2022

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1 commento su “Canone a scaletta: tassazione e imposte sui redditi negli affitti commerciali.”

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