Commiss. Trib. Prov. Lombardia Milano, Sent., 13-12-2016, n. 9408 condanna l’Agenzia delle Entrate per aver fatto abuso dell’accertamento induttivo – ricostruzione indiziaria di un reddito che si presume – a carico di una associazione sportiva dilettantistica che si occupava oltre che dell’attività equestre, anche della cura dei cavalli dietro rimborso spese. In pratica, l’Ufficio fiscale aveva ritenuto che la parallela attività di cura e maneggio fosse a titolo lucrativo e commerciale e che quindi l’associazione avesse violato i requisiti per le associazioni sportive dilettantistiche.
A Milano la Commissione Tributaria ha annullato totalmente questa errata ricostruzione, affermando che gli indizi raccolti non sono sufficienti per giustificare l’esistenza di una presunta attività commerciabile “tassabile” o, peggio ancora, per ricostruire induttivamente elementi di reddito e sottoporli ad imposizione fiscale.
Il Giudice, infatti, riferiva la posizione dell’Agenzia delle Entrate:
L’ufficio poi seguitava nell’esposizione analitica delle motivazioni per le quali riteneva che l’ente svolgesse attività commerciale, quali ad esempio, l’ampia gamma di servizi; la pubblicità; la scontistica; le quote differenziate; ecc.. Evidenziava poi che oltre alla violazione dei principi di uguaglianza, solidarietà, erano state violate anche importanti nonne statutarie relative all’elezione degli organi sociali e alla trasparenza. Sulla contestazione relativa al metodo di ricostruzione dei redditi l’ufficio replicava che tale doglianza non era meritevole di qualsivoglia apprezzamento, poiché priva di qualsiasi supporto documentale e che la ricostruzione effettuata si basava su elementi certi e precisi, ovvero, vale a dire le tariffe di pensionamento e dei servizi aggiuntivi così come comunicate da parte avversa e le presenze degli animali rilevate dal registro equidi. Ancora specificava che l’ente, in violazione del principio della trasparenza non aveva contabilizzato tutte le entrate con la conseguenza che era legittimo presumere un utilizzo improprio delle risorse per finalità non istituzionali. Ancora aggiungeva che dei tre istruttori cui si faceva riferimento nelle osservazioni presentate non vi era traccia nel modello 770 presentato.
Tuttavia, si rileva quanto segue:
“La disposizione continua nel prescrivere al comma 8, alcune limitazioni all’operatività del comma 3, le quali, nel caso di specie, risultano non essere sussistenti. Infatti l’agenzia delle entrate ritiene che la ricorrente svolga attività commerciale sulla base dell’ampia gamma di servizi offerti; sulla pubblicità; sulla scontistica; sulle quote differenziate; sulla simmetria tra associato e cliente ed altro ancora. Questo Giudice ritiene che tali elementi, per come sono stati desunti, non integrano in nessun modo la violazione dell’art. 148 del TUIR e la conseguente integrazione degli elementi caratterizzati dal successivo articolo 149 del medesimo decreto presidenziale. Sulla base di ciò, risulta illegittima la ricostruzione del reddito effettuata dall’ufficio, stante la mancanza di prove atte ad autorizzare l’agenzia, ad effettuare un accertamento di tipo analitico-induttivo come invece è accaduto nel caso di specie. Le scritture contabili dell’A.S.D., così come risulta dal verbale giornaliero (sub allegato 15 del fascicolo di parte ricorrente) risultavano essere correttamente tenute e, questo Giudice, ritiene che l’ufficio non ha raccolto sufficienti elementi probativi atti alla dimostrazione della sussistenza di palesi e illogici comportamenti di gestione aziendale idonei ad adombrare il sospetto di una non veritiera esposizione dei valori contabili, tali da giustificare l’accertamento induttivo eseguito.
Purtroppo, nonostante l’associazione abbia vinto il ricorso fiscale tributario, le spese legali sono state inspiegabilmente compensate, sulla base di una presunta difficoltà giuridica della vertenza, che in realtà non esiste, ad un occhio attento. Spesso accade che l’Agenzia delle Entrate può effettivamente elaborare accertamenti non fondati su elementi concreti, eludendo poi la “sanzione” per lo scorretto procedere amministrativo costituita dalla condanna al rimborso delle spese legali del ricorrente.
Articolo redatto a Torino da Studio Duchemino il 24 dicembre 2016