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Accertamento sintetico e simulazione

Una pronuncia della Cassazione, la n. 21442 del 10 ottobre 2014, ha coerentemente fatto chiarezza su questo punto, cioè sulla possibilità di considerare, ai fini dell’accertamento sintetico previsto dall’art. 38 D.P.R. n. 600/1973, il quale prevede appunto questa tecnica di accertamento fiscale sintetico, non basato su prove, ma solo su indizi, le operazioni fittizie:

[ndr: l’Ufficio] può sempre determinare sinteticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d’imposta, salva la prova che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d’imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile

La norma, anzitutto, prevede il potere di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, la quale può ipotizzare e quindi accertare il reddito del contribuente a partire non da un accertamento concreto basato su prove ed elementi inconfutabili, ma a partire dalle spese sostenute dal contribuente durante l’anno, cioè il periodo di imposta (spesometro). Il principio, ovviamente, è che ad un effettivo insieme di acquisti di beni e servizi, questi sì certi ed identificabili, deve corrispondere una capacità reddituale che li consenta. Ovviamente, il problema si annida nel fatto che la legge tende a generalizzare le situazioni, mentre vi sono casi, come quello analizzato dalla Cassazione con la sentenza citata, nei quali l’accertamento appare infondato, perchè non sussiste realmente quel dato di fatto che dovrebbe essere l’acquisto o il trasferimento di denaro.

Il Supremo Collegio, peraltro, si è già occupato della tassazione di atti nulli e simulati. Ad esempio stabilendo che:

la vendita simulata è soggetta ad imposta di registro come un normale trasferimento di beni, non perché il D.P.R. n. 131/86 “presuma” un trasferimento, ma perché il testo normativo (art. 38) dispone di tassare anche l’atto nullo (che non ha prodotto effetti) (Cass. civ. Sez. VI – 5 Ordinanza, 23/06/2014, n. 14197)

Si aggiunge che la Commissione Regionale Tributaria, a Torino, (Commiss. Trib. Reg. Piemonte Torino Sez. V, Sent., 25-02-2010, n. 25) si era occupata già di un caso di simulazione, in questo caso non riguardante l’operazione economica, ma i soggetti coinvolti: si trattava di una vertenza nella quale l’Agenzia delle Entrate aveva accertato a carico di un soggetto, di fatto amministratore di società, la pertinenza del rapporto tributario invece che in capo alla società amministrata, che costituiva mera interfaccia simulata per frodare il Fisco. Questa decisione fa comprendere come applicandosi l’art. 1415 c.c. II comma, è possibile ritenere che il Fisco, come qualunque soggetto “terzo” rispetto alla simulazione, possa far valere la stessa simulazione e quindi, applicandosi poi la regola della personalizzazione delle sanzioni tributarie, la sanzione veniva irrogata in questo caso contro il soggetto che materialmente aveva agito, piuttosto che contro l’ente, che peraltro conservava e conserva la solidarietà passiva dell’obbligazione sanzionatoria. La simulazione, quindi, ha rilevanza anche verso il Fisco, nel senso che è stata ed è considerata un’operazione fittizia che lascia aperta la possibilità di indagare la reale operazione sottostante, anche a livello soggettivo. Nel caso in esame innanzi la Corte di Cassazione, al contrario, questo principio trova applicazione sotto il profilo opposto, perchè seppure vero che è posta in essere un’operazione fittizia quale il fittizio aumento di capitale al fine di fruire di benefici contributivi, allo stesso tempo non si pone in gioco l’accertamento sul soggetto reale che consegue il vantaggio dall’evasione fiscale, ma siccome l’operazione non esiste nella realtà perchè posta in essere solo sulla carta al fine di conseguire un risultato diverso (la simulazione investe il negozio e non il soggetto, come nell’interposizione fittizia di persona), non è possibile tassare alcunché, anzi è possibile affermare che proprio la nullità e inesistenza dell’operazione denota indiscutibilmente l’inesistenza del reddito che sinteticamente si potrebbe accertare con i metodi induttivi.

Nel diritto, peraltro, si distingue nettamente la simulazione del contratto dal contratto indiretto. La prima non implica alcun reale trasferimento di ricchezza, per cui il trasferimento è “sulla carta” ed è solo simulato, mentre nel caso di contratti indiretti, l’operazione economica avviene realmente, anche se non corrisponde allo schema negoziale voluto dalle parti. Sottospecie del contratto indiretto è quello indiretto e in frode alla legge. Nel caso analizzato, la Cassazione, partendo proprio da questo principio, cioè che nella simulazione non avviene alcun trasferimento reale di ricchezza economica, si occupa del caso di fittizi aumenti di capitale finalizzati unicamente a frodare, di fatto, l’Erario, nel senso di immutare la situazione patrimoniale, tramite versamenti effettuati a titolo di aumento di capitale di società partecipate, al solo fine di rientrare in fattispecie di agevolazione contributiva.

Il quesito posto al Supremo Collegio era, quindi, il seguente:

“se il contribuente possa far valere la simulazione degli atti da lui stipulati al fine di contestare la fondatezza della pretesa creditoria esercitata dall’Ufficio finanziario, che abbia fatto legittimo affidamento sulla realtà apparente posta in essere dallo stesso contribuente attraverso gli atti che si assumano simulati”

Nel testo della norma previgente, quello in sostanza vigente tra la legge n. 413 del 1991 e il d.l. n. 78 del 2010, erano contemplate anche le spese per incrementi patrimoniali, in quanto si diceva, al comma 5, che “qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali, la stessa si presume sostenuta, salvo prova contraria, con redditi conseguiti, in quote costanti, nell’anno in cui è stata effettuata e nei cinque precedenti”.

Ora, il problema sussiste, invece, quando tali incrementi sono solo apparenti e simulati, ma non esistono nella realtà. La Cassazione aveva già affrontato tale questione con le sentenze Cass. nn. 8665 del 2002 e 5991 del 2006. In sostanza, se il trasferimento non sussiste, perchè è solo simulato, non è possibile considerarlo indice di capacità contributiva non dichiarata al Fisco per l’anno di riferimento. E’ stabilito, infatti, che

tra le prove contrarie è ammessa anche quella che il versamento degli importi contestati non è avvenuto e che, quindi, non sussiste una reale disponibilità economica, essendo questa meramente apparente, per avere l’atto in questione natura simulata.

Articolo redatto da Studio Duchemino – avvocato a Torino, il 17 novembre 2014

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