La vicenda si è originata da una sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo, che si è occupata dei fatti della Scuola Diaz risalenti al 21 luglio 2001. Si tratta del comportamento tenuto dalle Forze dell’Ordine in quella vicenda, il quale diede adito a numerose polemiche. Il ricorso fu presentato dal Sig. Arnaldo Cestaro e ha portato alla condanna dell’Italia per un deficit “strutturale” legato all’assenza nell’ordinamento del reato di tortura e all’incapacità di prevenire fatti di violenza simili, almeno stando all’interpretazione datane dalla Corte.
Di fatto il ricorrente sostenne (e dimostrò) di essere stato brutalmente picchiato, con la precisazione che non esisteva alcun nesso causale o alcuna proporzione tra la situazione in cui si trovava e l’uso della forza che fu irrogata contro di lui, nonché il fatto che gli agenti non furono mai perseguiti anche a causa di una scarsa collaborazione dello Stato.
La reazione italiana è la discussione del vecchio disegno di legge sul reato di tortura che era stato depositato il 19 giugno 2013 (http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0018050.pdf) e che ora riceve una poderosa spinta, proprio perchè approvato dalla Camera dei Deputati, in vista, dopo la discussione, di essere definitivamente approvato dal Senato e diventare operativo.
Tuttavia, l’originario testo, così come concepito, stabiliva come presupposto anzitutto la situazione di privazione della libertà personale, condizione che scompare proprio nel testo approvato dalla Camera dei Deputati, creando una profonda aporia di sistema.
L’originaria fattispecie veniva così delineata:
ART . 613-bis. – (Tortura) – Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero mediante trattamenti inumani o degradanti ladignità umana, cagiona acute sofferenze fisiche o psichiche ad una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia o autorità o potestà o cura o assistenza ovvero che si trovi in una condizione di minorata difesa, è punito con la reclusione da tre a dieci anni
con violenza o minaccia, ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione, cura o assistenza, intenzionalmente cagiona ad una persona a lui affidata, o comunque sottoposta alla sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche (reato di evento),
- a causa dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose o
- al fine di
– ottenere da essa, o da un terzo, informazioni o dichiarazioni o
– infliggere una punizione o
– vincere una resistenza.
Si sottolinea, appunto, la scomparsa del requisito riguardante la privazione della libertà personale e soprattutto l’ultimo elemento, cioè il contenuto del dolo specifico di “vincere una resistenza”, che pare pensato e concepito principalmente per le Forze dell’Ordine, considerato che esse svolgono come attività base per legge proprio quella di vincere resistenze dei cittadini!