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Affidamento dei figli e coabitazione

Sempre controversa la questione dell’affidamento dei figli nei processi di separazione.

Controversa in quanto vi è una fisiologica scissione tra l’istituto dell’affidamento condiviso, il quale è stato introdotto (L. 54/2006) proprio per garantire al figlio che le conseguenze delle scelte genitoriali sulla sua vita ricadano secondo un principio di equilibrio sulla responsabilità di entrambi i genitori (bigenitorialità) e l’istituto della coabitazione del minorenne con uno dei genitori, cioè il collocamento prevalente del medesimo presso uno o l’altro genitore. Mentre l’affidamento, infatti, può essere condiviso, la materiale coabitazione avviene presso uno solo dei genitori, non potendosi il minore alternativamente collocare nell’abitazione dell’uno e dell’altro genitore.

L’ordinanza del Tribunale di Perugia del 26 marzo 2014 dà occasione di affrontare questo tema. Il provvedimento, pubblicato su “Diritto Italiano“, è piuttosto interessante, proprio perchè consegue al ricorso di un genitore il quale, trovandosi il figlio meglio con lui rispetto che con la madre, dà adito all’iniziativa giudiziaria poi parzialmente accolta dal Tribunale. Punti centrali della discussione sono quelli che riguardano l’audizione del minorenne in quel genere di procedimenti, il considerare i nonni come risorsa e non come peso, la preponderante attenzione riservata alle preferenze del figlio. La decisione, infatti, nonostante l’affidamento condiviso del figlio disposto in sede di separazione, con coabitazione presso la madre, trasferisce detta coabitazione presso il padre in onore al consenso espresso dal medesimo figlio in più occasioni, ritenuto meritevole di tutela, ma anche, ovviamente, affidabile.

Ora, c’è da chiedersi in effetti in che misura un figlio minorenne, che abbia subito una vicenda drammatica di separazione dei genitori, riesca  a lucidamente dedurre la situazione familiare e comprendere le proprie esigenze. La giurisprudenza di merito, seppure in casi diversi da quello citato, non sempre si è mostrata, anche a Torino, pietosa per il genitore assente e irresponsabile, il quale con costanza nel tempo ha mostrato la sua assenza e incapacità di affrontare le responsabilità genitoriali. Ad esempio, il Tribunale di Roma, sentenza del 25 novembre 2013, ha statuito in materia di affidamento che

Il disinteresse manifestato del padre nei confronti della prole, tradottosi, in particolare, nella violazione sistematica degli obblighi di cura e sostegno, attuata attraverso il perdurante mancato rispetto dell’obbligo di contribuzione al mantenimento dei minori nella misura fissata dalle statuizioni giudiziali, costituisce circostanza idonea a giustificare l’affidamento esclusivo della prole minore di età in favore dell’altro genitore, in deroga alla regola dell’affido esclusivo previsto dall’art. 155 c.c., il quale comporta l’esercizio della potestà da parte dei genitori ed una condivisione delle decisioni di maggiore importanza, oltre che dei compiti di cura.

In sostanza, si afferma chiaramente che anche il frequente comportamento di quei genitori che appaiono incapaci di assumere le proprie responsabilità in termini di cura e mantenimento dei figli, contribuzione e sostegno al coniuge collocatario, può dare origine ad una situazione che giuridicamente giustifichi la sottrazione al medesimo dell’affidamento stesso. In effetto, l’affidamento consiste nell’assegnazione di poteri decisionali in merito alla vita dei figli e alle scelte fondamentali, mentre un genitore assente certo non brilla per la sua capacità di assolvere agli obblighi. Ma, nel terreno della coabitazione, le cose sono forse più complicate, perchè la valutazione è molto più legata alle circostanze concrete. Escludere, infatti, un genitore dalle decisioni più importanti può consentire di rimettere le medesime in capo all’unico coniuge che ha dimostrato di essere capace di assumerle, mentre la questione della coabitazione appare legata ad altri fattori, primo tra tutti la concreta e pratica capacità del genitore, nonché la tutela della continuità di luoghi e vissuti del figlio.

Sotto questo profilo, si è comunque fatto riferimento all’assenza fisica e materiale del genitore per decidere dove collocare il figlio minorenne, come nel caso analizzato dalla Cassazione, sentenza Cass. civ. Sez. I, 04/10/2012, n. 16925:

in caso di affidamento condiviso con collocamento prevalente presso il padre, ove quest’ultimo (nella specie, militare) risulti assente per i propri impegni in località diversa da quella di residenza, il collocamento del figlio minore va fissato presso la madre, anche se tornata a vivere con i suoi genitori in città molto lontana dall’abitazione dell’ex convivente, e non presso i nonni paterni.

Seppure, quindi, ontologicamente e qualitativamente diversi i problemi, appare chiaro che la materiale presenza spirituale e morale e fisica del genitore è il parametro di riferimento, circa l’affidamento esclusivo, per quanto concerne il problema sotto il profilo delle assunzioni di responsabilità giuridica e del rispetto degli obblighi legati alla filiazione, circa la coabitazione (collocamento del figlio presso un genitore), appare importante la capacità pratica del genitore di ovviare alle esigenze del figlio. Sotto il profilo dell’affidamento esclusivo, uno scarso interesse del genitore per il figlio non appare necessariamente sufficiente ad escludere l’affidamento condiviso (Cass. civ. Sez. I, 08/02/2012, n. 1777). In ogni caso:

l’eventuale pronunzia di affidamento esclusivo dovrà essere sorretta da una motivazione non solo più in positivo sulla idoneità dei genitori affidatario, ma anche in negativo sull’inidoneità educativa ovvero manifesta carenza dell’altro genitore (Trib. Novara, 21 ottobre 2011)

Nel caso di collocamento del figlio, la Cassazione aveva già individuato alcuni criteri fondamentali, specificando anche, peraltro, quanto sia importante la “richiesta” del figlio e la necessità che sia ascoltato (Cass. civ. Sez. I, 17/05/2012, n. 7773):

il collocamento preferenziale di un minore presso l’uno o l’altro genitore – pur in regime di affido condiviso – deve fondarsi su una concreta valutazione delle capacità genitoriali, a tutela dell’interesse del minore stesso, e non su considerazioni astratte relative all’auspicato miglioramento della condotta del genitore individuato come collocatario (nella specie, la Suprema corte ha cassato il provvedimento di merito che aveva collocato una minore adolescente presso la madre, peraltro in contrasto con la volontà espressa al riguardo dalla giovane, e nonostante che la madre – oltretutto inottemperante all’invito di seguire un percorso di sostegno genitoriale – avesse per il passato tenuto una condotta non commendevole nei riguardi della figlia, statuizione fondata sul mero auspicio di un miglioramento dello scambio affettivo tra madre e figlia susseguente alla attuazione del provvedimento stesso)

Si può affermare, quindi, che nella valutazione sull’affidamento debba essere preponderante l’attenzione rivolta all’aspetto “giuridico” del rispetto degli obblighi relativi alla filiazione, al contrario, invece, nel merito delle decisioni sul collocamento prevalente del figlio presso l’abitazione di uno dei coniugi, appare evidente che va svolta una valutazione sulla capacità concreta del genitore di gestire la vita del figlio e specificamente nel suo interesse e non appare ininfluente, in questo contesto, la scelta del minorenne stesso.

In buona sostanza, l’affidamento condiviso risponde al diritto del minorenne alla bigenitorialità, mentre il collocamento prevalente del medesimo risponde all’interesse del figlio al mantenimento di un equilibrio sia in termini geografici, sia in termini personali, nel suo rapporto con i genitori, in relazione alle varie fasi coincidenti con gli stadi evolutivi dei primi anni.

Articolo redatto da Studio Duchemino a Torino, il 24 novembre 2014

 

2 commenti su “Affidamento dei figli e coabitazione”

  1. Mi dispiace contraddirvi ma il collocamento prevalente è sempre alla madre con qualche rarissima eccezione. Nel mio caso mio figlio deve andare a dormire dalla madre per ben 15 giorni nonostante che mi è stata assegnata la casa coniugale con relativa sua cameretta mentre dalla madre deve dormire sul divano nel salotto. La ex moglie si è allontanata per ben 2 volte dalla casa coniugale asserendo violenze psicologiche. Una CTU approfondita (test MMPI-II) ha rilevato che sono una persona calma e pacifica e che la moglie usa “sistemi di difesa quali lo spostamento”. Nonostante tutto ciò il giudice di primo grado (ovviamente una donna) non ha tenuto conto. Di seguito un mio articolo sul quotidiano della mia città.
    Cordialità

    La legge è uguale per tutte. Questa in sintesi la giustizia sulle separazioni in Italia.
    Ipotesi A: Padre che va via dalla casa coniugale; casa, residenza figli, collocamento prioritario alla madre (cioè il padre li può vedere 2 fine settimana e 2 pomeriggi settimanali), assegni di mantenimento alla madre.
    Ipotesi B: Madre che va via dalla casa coniugale; se sei estremamente fortunato il giudice ti assegna la residenza dei figli, se proprio è la tua giornata anche la casa coniugale ma poi basta. Per caso ti sei messo in part-time per continuare a fare il padre? Scordati di chiedere soldi. Non hai nessun diritto all’assegno. Per quanto riguarda il collocamento della prole giudici e le psicologhe del servizio pubblico (ricordo che psicologi maschi non se ne trovano) ti rispondono così: “i bambini devono vedere entrambe le figure genitoriali in modo continuativo”.
    “La separazione è una storia d’amore che finisce e una di soldi che comincia” diceva l’illustre Giovanni Bollea. A conferma di questo basta leggere l’ultimo libro di Alfredo Poloniato “L’affidamento delle palle al piede” dove racconta la sua separazione che poteva essere conclusa consensualmente ma “grazie” ad una avvocatessa senza scrupoli e un sistema giudiziario tutto pro donna ha dovuto, come tanti altri padri, lottare contro un sistema completamente sbilanciato da una parte. Avvocati e psicologi che ci marciano su ringraziano. “E io pago” come diceva il grande Totò.
    La morale è che se tu uomo ti sei sposato perchè volevi crearti una famiglia e volevi fare il papà a nessuno interessa ma se la donna si è sposata per avere una sicurezza economica e ha fatto un figlio perchè la società le ha imposto un ruolo ha sempre ragione lei.

    1. Egr. Sig. Giulio Sterle, il problema che Lei ha sollevato è concreto e reale. Al di là delle storture del sistema giudiziario italiano, che sono sotto gli occhi di tutti, si tende a privilegiare la figura della madre – per la coabitazione – in quanto si parte dal presupposto “psicologico” che il figlio, nei primi anni, instauri un legame prevalente con la figura femminile. Ovviamente, questo è vero, scientificamente, ma dipende molto dall’età del bambino. Non scendiamo nel dettaglio della Sua vicenda, ma sicuramente è vero che spesso i Tribunali compiono una valutazione un po’ massimalista.

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